PMA - descrizione della Legge 40 che in Italia disciplina la procreazione medicalmente assistita - fecondazione assistita fivet icsi fertilità sterilità - dr.ssa AlessandraVucetich

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PMA e legge40

La legge 40/2004 è divenuta operativa nei primi mesi di quello stesso anno ed è stata voluta per disciplinare la materia normativa riguardante la procreazione medicalmente assistita.
Chi l’ha voluta ha ripetutamente, attraverso i media, gridato al fatto che tale normativa fosse necessaria poiché prima nel nostro paese era in vigore il “far west” riproduttivo, termine ad elevato impatto emotivo, evocante una varietà di situazioni molto al di fuori da ogni elementare regola clinica, ancor prima che giuridica, a discapito dei poveri cittadini. 


Certamente, come ribadito in moltissime occasioni dagli specialisti del settore attraverso i media stessi, la situazione italiana non era in condizioni così disordinate, esistevano da parecchi anni varie società scientifiche che mantenevano un controllo ed una aggiornata discussione in merito all’applicazione delle regole di buona pratica clinica in questo settore, e che raccoglievano medici e biologi di molti centri specialistici italiani, dal nord al sud del nostro paese.


L’avvento della legge 40, così restrittiva sul piano dell’applicazione delle regole, ha portato ad un importante esodo di coppie infertili al di fuori dei confini italiani ed ha portato all’allontanamento dell’Italia dai parametri di “buona pratica clinica”. In quegli anni infatti si è assistito ad un minore tasso di gravidanza da PMA e ad un incremento di gemellarità ma soprattutto di gravidanze trigemine causa l’obbligo di trasferimento contemporaneo di tutti e tre gli embrioni prodotti in vitro.


Questa situazione ha portato numerosi elementi della società civile (associazioni di pazienti, medici e biologi specialisti del settore, figure professionali e universitarie del mondo giuridico) a strutturare insieme una strategia per smontare gli effetti della legge 40. In particolare dopo che la linea politica si è dimostrata inefficiente, con il fallimento del ricorso al referendum nel 2005, si è concordato di operare attraverso il ricorso giudiziario dei pazienti nei confronti dei loro medici che non potevano eseguire determinate procedure cliniche. I medici a loro volta si sarebbero appellati al tribunale della loro città chiedendo una deroga alla legge 40 per quello specifico caso. Il tribunale a sua volta, non potendo decidere in proprio per una modifica del dettato normativo si sarebbe, a sua discrezione, riservato di inviare la questione sollevata all’attenzione della Corte Costituzionale.

Così è stato: le procedure sono partite da svariate città italiane tra le quali Milano. Questo percorso ha portato alla sentenza 151/2009 della Corte Costituzionale stessa, questa sentenza ha seriamente modificato l’impianto della legge 40 rendendola ciò che è ancora oggi, più facilmente applicabile in relazione ai parametri di di “good clinical practice” condivisi a livello internazionale.

Poiché mi è stato proposto di occuparmi del ricorso al tribunale di Milano, il testo riportato di seguito esprime la richiesta che sono stata invitata a  redigere “per scritto” nel corso dell’udienza preliminare dalla giudice alla quale ho presentato la mia istanza di deroga. La giudice ha poi deciso di rimandare tale istanza all’attenzione della Corte.

La Corte Costituzionale ha ricevuto varie istanze simili, da vari tribunali italiani, ed il 31 marzo del 2009 ha comunicato la sua decisione, ratificata poi per scritto (motivazione della sentenza ) nei giorni successivi.


il testo della Legge 40
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