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La legge 40/2004 è divenuta operativa nei primi mesi di quello stesso anno ed è stata voluta per disciplinare la materia normativa riguardante la procreazione medicalmente assistita.
Chi l’ha voluta ha ripetutamente, attraverso i media, gridato al fatto che tale normativa fosse necessaria poiché prima nel nostro paese era in vigore il “far west” riproduttivo, termine ad elevato impatto emotivo, evocante una varietà di situazioni molto al di fuori da ogni elementare regola clinica, ancor prima che giuridica, a discapito dei poveri cittadini.
Certamente, come ribadito in moltissime occasioni dagli specialisti del settore attraverso i media stessi, la situazione italiana non era in condizioni così disordinate, esistevano da parecchi anni varie società scientifiche che mantenevano un controllo ed una aggiornata discussione in merito all’applicazione delle regole di buona pratica clinica in questo settore, e che raccoglievano medici e biologi di molti centri specialistici italiani, dal nord al sud del nostro paese.
L’avvento della legge 40, così restrittiva sul piano dell’applicazione delle regole, ha portato ad un importante esodo di coppie infertili al di fuori dei confini italiani ed ha portato all’allontanamento dell’Italia dai parametri di “buona pratica clinica”. In quegli anni infatti si è assistito ad un minore tasso di gravidanza da PMA e ad un incremento di gemellarità ma soprattutto di gravidanze trigemine causa l’obbligo di trasferimento contemporaneo di tutti e tre gli embrioni prodotti in vitro.