LA LEGGE 40 DEL 2004 ANCORA A GIUDIZIO La parola alla Corte Costituzionale - Collana di Diritto e Società FrancoAngeli - fecondazione assistita fivet icsi fertilità sterilità - dr.ssa AlessandraVucetich

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LA LEGGE 40 DEL 2004 ANCORA A GIUDIZIO
La parola alla Corte Costituzionale - Collana di Diritto e Società FrancoAngeli

LA DIAGNOSI GENETICA PREIMPIANTO: 

NUOVE PROSPETTIVE DOPO LA SENTENZA 151/2009
Alessandra Vucetich – Tecnolab s.r.l. - Milano

biopsia del blastomero

La diagnosi genetica preimpianto (PGD) è una biotecnologia mediante la quale è possibile ottenere informazioni sulle caratteristiche genetiche delle cellule analizzate. Questa tecnologia è applicabile anche alle cellule di embrioni umani ottenuti in corso di fecondazione extracorporea.

La procedura prevede che, nel momento in cui l’embrione si presenta nello stadio evolutivo di 6 – 8 cellule, una di queste cellule sia asportata dall’embrione stesso e venga analizzata con l’uso di particolari sostanze definibili come sonde genetiche. Il risultato dell’analisi permette di ottenere un’informazione relativa alla presenza o meno, in quella cellula, del gene sottoposto ad indagine, quindi della malattia dal gene stesso codificata. Di conseguenza l’embrione da cui la cellula malata deriva viene considerato embrione che darà origine ad un individuo malato, mentre gli embrioni in cui non si evidenzia il carattere di malattia vengono considerati embrioni trasferibili in utero per dare origine alla gravidanza di un bambino privo della malattia di cui i genitori sono portatori.

Allo stato attuale delle conoscenze e delle possibilità applicative in ambito clinico, esiste un forte consenso del mondo scientifico per quanto riguarda l’utilità della PGD in relazione a malattie genetiche monogeniche (anemia mediterranea) e/o paucigeniche. In questi casi infatti appare chiaro il vantaggio, con l’impiego della procedura, di evitare la nascita di soggetti malati, ed è altresì chiaro il vantaggio di evitare l’interruzione di gravidanza successiva a diagnosi prenatale (amniocentesi, villocentesi) eseguibile solo dopo la dodicesima settimana di gravidanza.

In tutti i casi diversi da quelli sopracitati, in cui quindi non si tratta di indagare una specifica e ben conosciuta malattia genetica di cui è portatrice la coppia di genitori, ma si tratta di indagare caratteristiche genetiche più generali dell’embrione umano, il parere degli specialisti medici e biologi si discosta fortemente dall’unanimità, anzi il dibattito in merito mantiene toni di scontro vivaci ed accesi e molte sono le voci autorevoli ancora contrarie all’impiego della PGD, sia a causa della sua discutibile utilità conoscitiva, sia per le accese controversie in merito al reale miglioramento del tasso di gravidanza ottenuto.

Il rapido evolversi, in tempi recentissimi, delle tecnologie diagnostiche in questo specifico settore, e la possibilità di prolungare la coltura embrionaria fino alla 5° - 6° giornata ha permesso di standardizzare la messa a punto di metodiche molto più efficienti nel definire le caratteristiche genetiche dell’embrione e quindi nell’aumentare fortemente il grado di accuratezza della diagnosi preimpianto. Vengono quindi a cadere, o comunque perdono di efficacia, alcune delle obiezioni sopracitate contro l’impiego della PGD al di fuori della diagnostica per specifiche malattie genetiche, per esempio in caso di ripetuti fallimenti riproduttivi in cicli di fecondazione in vitro. 

La sentenza 151/2009 della Corte Costituzionale ha modificato in maniera sostanziale il percorso di assistenza ai pazienti infertili che affrontano i programmi di fecondazione extracorporea nei centri di procreazione medicalmente assistita (PMA) italiani. Ciò è avvenuto poichè mentre il dettato legislativo (legge 40/2004) ha sottolineato fortemente la tutela dell’embrione, la successiva sentenza della Corte ha voluto controbilanciare i diritti dell’embrione con i diritti della donna o, più in generale, con i diritti dell’individuo.


Assumono quindi maggiore considerazione e rispetto le esigenze della procreazione, che costituiscono parte del principio generale del diritto alla salute. Tale diritto infatti è  da intendersi sia come diritto alla salute dei nascituri sia come diritto alla salute della futura madre. La donna infatti può considerare minacciata la sua salute fisica e psichica nel mettere al mondo un figlio malato ed è senz’altro utile ricordare che questo specifico aspetto è disciplinato in maniera precisa dagli articoli 4 e 6 della legge 194/78.
In particolare, se  l’articolo 14 della legge 40/2004 rimanda alla valutazione dello stato di salute dell’embrione e l’articolo 13 della legge stessa proscrive il fine eugenetico pur prevedendo la possibilità di conoscere lo stato genetico dell’embrione, si configura la possibilità di eseguire la diagnosi genetica preimpianto (PGD).

Se tuttavia si passa a considerare il reale percorso applicativo della PGD dopo che, ancora nella giornata odierna, ne è stata illustrata la liceità sul piano giuridico, si osserva come emergano ancora svariati aspetti controversi, addirittura contraddittori.
Come già sottolineato infatti, nonostante molti comportamenti nella gestione dei gameti della coppia di pazienti in corso di fecondazione extracorporea siano cambiati dal 2009 ad oggi, non sempre la conciliazione tra il primario dettato della legge e le successive modifiche risulta interpretabile in maniera lineare dai i professionisti, medici e biologi, di questo delicatissimo settore.
In particolare in quei casi in cui si proceda a PGD si pongono i seguenti quesiti:
1) una volta eseguita la diagnosi genetica preimpianto come ci si comporta nei confronti degli embrioni diagnosticati come portatori di patologia genetica, poiché gli embrioni stessi non possono essere distrutti?
2) come si conservano tali embrioni, e in vista di quale destino? In Italia non è prevista la donazione di embrioni né per la ricerca scientifica né per fecondazione eterologa, va ricordato altresì che si tratta di embrioni “malati”
3) quali sono i costi sociali, in caso di sanità pubblica, per procedure di questo genere, ma soprattutto a chi compete la stima dei costi/benefici in questo campo, e per quali patologie?

Dopo che il legislatore ha preferito il divieto e la sanzione piuttosto che la disciplina della materia, gli aspetti procedurali potranno forse essere illustrati nelle nuove linee guida, con speranza che questa eventualità non risulti nuovamente restrittiva rispetto alla condizione attuale, oppure tecnicamente poco congrua per mancanza di specifiche competenze in materia.
Forse sulla base del fatto che questo tipo di problematiche pesa in maniera importante sulle decisioni operative dei centri di PMA, viene da interrogarsi sui motivi per cui anche in aree geografiche del nostro paese in cui sono presenti un congruo numero di centri pubblici di PMA, non vi sia neppure un centro tra questi che si prenda cura di eseguire la PGD almeno per quelle  malattie genetiche ad elevata prevalenza nel territorio italiano, per esempio la Thalassemia. 

Una ulteriore considerazione riguarda il fatto che, come sottolineato da altri commentatori nel corso dell’odierno  dibattito, il percorso normativo costituito dalla legge 40 e successivamente dalle modificazioni apportate con la sentenza 151/2009 della Corte Costituzionale, ha generato delle “lacune legislative” nel profilo applicativo della PMA in Italia e soffre quindi ancora di varie contraddizioni. Questa realtà è condivisibile e va riconosciuta, anche se deve essere energicamente sottolineato come la condizione attuale, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, sia indiscutibilmente migliore della condizione precedente in cui si  era assistito all’esilio riproduttivo fuori Italia delle coppie infertili, al complessivo calo dei tassi di successo dei centri italiani di PMA ed al pericoloso incremento di gravidanze trigemine causa l’obbligo di trasferimento contemporaneo di tutti e tre gli embrioni prodotti. Quest’ultimo aspetto in particolare ci aveva posto in netta controtendenza rispetto alle regole di buona pratica clinica (principi di “good clinical practice”) nei confronti degli altri paesi europei.

In conclusione, gli attuali aspetti di incertezza legislativa conducono a contraddizioni stridenti per i cittadini pazienti, poiché al momento attuale la diagnosi prenatale per specifiche e ben conosciute malattie genetiche  è regolarmente eseguita nelle unità di ostetricia e ginecologia, mentre non esistono servizi di diagnosi genetica preimpianto.
Non rimane quindi alle coppie, sterili e non, portatrici di malattia genetica, che la solita vecchia scelta: o recarsi lontano da casa per eseguire la PGD oppure eseguire la diagnosi prenatale (amniocentesi/villocentesi) e ricorrere poi all’interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della legge 194/78 in caso di esito patologico.
Non sembrano necessarie ulteriori parole per delineare l’incogruenza   normativa che si riflette poi in ambito clinico assistenziale in cui i pazienti ed i loro medici si vengono a trovare

dal volume edito da Franco Angeli nel 2012 " La legge 40 del 2004 ancora a giudizio" a cura di Marsilia D'Amico, Benedetta Liberali
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